Medea
- Arianna Manto
- 29 gen 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Quando si parla di donne del mito, impossibile è non pensare ad una in particolare, forse la più sciagurata di tutte: Medea. Oggi è di lei che voglio parlarvi. Difficile è fare ironia su questo personaggio, ma forse un po’ tutte nel nostro cuore ci siamo sentite Medea qualche volta.

Cominciamo dal principio. Medea era figlia di Eeta, re della Colchide, l’attuale Georgia, e di Idia; questo fa di lei una principessa. Fin qui tutto torna, la protagonista è di nuovo una principessa, peccato che questa volta non si tratti di una povera donzella innamorata, ma di una delle maghe più famose della Grecia, una vera influencer in ambito di magia. E se abbiamo una principessa, chi sarà mai l’eroe in causa? Giasone, vi presento anche lui, beddu spicchiu[1] si direbbe da me, e vi preannuncio che qui si parla solo di Royal families: Giasone, infatti, era il figlio di Esone (sempre grande fantasia nei nomi!) re di Iolco.
[1] Letteralmente sarebbe “uno spicchio buono”, ma è un modo siciliano per dire ironicamente “bel personaggio anche lui”.
Per non farci mancare proprio nulla, come se fosse un film della Disney, abbiamo anche il nostro antagonista: Pelia, perfido zio di Giasone in lotta con lui per il trono. Adesso che abbiamo fatto le presentazioni per bene, passiamo al vero racconto. Giasone per accaparrarsi il trono di Iolco e detronizzare lo zio decide di accettare una sfida: conquistare il vello d’oro che, indovinate un po’, dove si trovava? Proprio nella Colchide, terra della nostra maga. Non vorrei annoiarvi troppo, ma per quanti non lo sapessero, il vello d’oro era il mantello dorato di un ariete alato che si credeva avesse un impareggiabile potere guaritore. Come da copione, Giasone arriva nella Colchide e la nostra furbissima maga cosa fa? Se ne innamora. Torno a ripetervelo, noi donne saremo scaltre quanto mai, ma gira e rigira dall’amore ci facciamo sempre fregare. Così, Medea, presa dai primi palpiti d’amore, aiuta Giasone a rubare il vello e…sbang! Si corre via a gambe levate: bandita dalla propria patria e si comincia con i delitti.
Medea, infatti, per bloccare il padre e i suoi uomini, che inseguono lei e l’amato eroe, decide molto spensieratamente di far a pezzi il fratello e lasciare che il padre ne raccolga i brandelli, scene che neanche nei peggiori horror. Io vi ho parlato di un eroe, ma ditemi voi quanto può essere definito tale uno che sta lì a guardare mentre questa spietatissima donzelletta conquista il vello, da una grattuggiata al fratellino e si libera così di tutti gli avversari. Insomma, avete già capito che io Giasone non lo amo proprio. Ma non è finita qui, Medea arriva a Iolco, patria di Giasone, e insomma, tra li vuci e li gridati[2] tipiche di ogni matrimonio, costruisce la sua famiglia e ha da Giasone due splendidi bambini.
[2] “tra le urla, le liti”
Ah, quasi dimenticavo! Vi ricordate dello zio perfido di Giasone? Anche lui affettato e cotto in un bel calderone dalla nostra Medea che gli aveva fatto credere di poter ringiovanire in questo modo. Beh, è probabile che Medea avesse una passione per le pubblicità di coltelli e ci tenesse a verificarne la qualità. Dopo questa serie di omicidi, degni di una puntata di Pretty Little Liars, le cose non migliorano molto.
Lo splendido Giasone aveva sposato Medea, ma lei era pur sempre una barbara agli occhi di un greco, indi per cui quando un bel giorno Creonte, re di Corinto, bussa alla sua porta per dargli in sposa la figlia Glauce, non ci pensa nemmeno un attimo ad accettare e ripudiare la povera Medea. Apriti cielo! Avete presente quando litigate col vostro partner ed esce “l’animale che mi porto dentro”, come dice Franco Battiato? Ecco, immaginatevela esattamente così Medea. Io sento da qui le sue urla:
“Sdisanuratu, sdissangatu, scaratterizzatu e senza linzola! Chissu mi meritu?[3]
[3] Mi avvalgo di una traduzione molto libera ma che renda l’idea: “uomo del disonore, senza affetto per i parenti (letteralmente, il tuo sangue, facciamo che è una metonimia siciliana) senza polso e senza rispetto per i legami, è questo quello che mi merito?”
Chi può darle torto? Ma tanto Giasone non vuole sentire ragioni e come se non bastasse, non solo ignora le sue suppliche, ma esilia lei e figli da Iolco. Una donna ferita, una madre umiliata, ma pur sempre una maga. La vendetta di Medea cuoce a fuoco lento e forse fuoco è proprio la nostra parola chiave. Il giorno delle nozze di Giasone e Glauce, fingendosi donna rassegnata, matura e arrendevole al proprio destino, Medea invia come dono per la sposa novella un mantello; peccato però nessuno sapesse che era intriso del peggior veleno e che una volta indossato avrebbe preso fuoco.
Nozze scintillanti quelle di Egeo, Glauce indossa il mantello e in un baleno tutto va a fuoco, lei compresa ovviamente.
Mancu li sordi spinnuti pi la vistina![4]
[4] “nemmeno i soldi spesi per l’abito nuziale!”
E fin qui, per quanto cruento sia il racconto, sono sicura che stiate tutti tifando ancora per Medea, ma l’amore ha tante sfumature e ci sta veramente poco a tramutarsi in odio, in malattia, bisogna saperle riconoscere le facce dell’amore. La vendetta di Medea non è ancora finita, in preda al suo delirio per il tradimento del marito, elabora il peggiore ed il più sciagurato dei piani: uccidere i propri figli, perché solo così avrebbe potuto strappare dal petto il cuore di Giasone. Purtroppo, ormai quella di Medea era diventata follia, nulla a che vedere con l’amore, e risoluta procede nel suo intento. A me ha sempre colpito il passo in cui lamentando la sua condizione di donna dilaniata dal dolore dice: “tre volte preferirei imbracciare lo scudo, piuttosto che partorire una volta sola.” Giasone era andato in guerra, era un eroe, ma lei la guerra l’aveva vissuta nella sua mente e nel suo cuore, dilaniata dal dolore e dalla follia e si sa che le guerre non portano mai a nulla di buono. Di Medea si dice che dopo il misfatto sia fuggita sul carro di Elios, dio del sole, che, sempre le malelingue, affermavano fosse il vero padre.
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