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  • Immagine del redattoreArianna Manto

Eppure, Troia brucia ancora.

Non scrivo da diverso tempo, forse perché presa da molto altro, forse perché ho perso un po’ di fiducia in questo potentissimo mezzo che è la scrittura. Oggi, però, più che mai, ne sento l’esigenza.

Da giorni penso a Giulia e a tutte le ragazze che, come lei, hanno pagato un no con la vita.

Avevo pensato ad un mito, uno dei tanti che mi avrebbe permesso di parlare di violenza, ma ho deciso che non è opportuno. Non lo è perché proporre un mito sulla violenza di genere, sarebbe quasi come collocare questo fenomeno in un tempo lontano, atemporale.

Dal mito, però, sono partita. Ho pensato a Lucrezia, Cassandra, Medea, Persefone, Dafne, Penelope (si, anche lei!) e in loro ho rivisto i volti di tutte le donne che ho conosciuto nella mia vita, ho ritrovato un’unica grande colpa che le accomuna: quella di essere donna. Nascere donna, come diceva la Fallaci, è una sfida che non annoia mai. Amo Oriana Fallaci, ma devo dissentire. Oggi, essere donna è una guerra che, forse, non avremmo voluto combattere: continuamente alla ricerca di giustificazioni, continuamente alla ricerca di prove che attestino quello che diciamo, continuamente attente a cosa facciamo, cosa diciamo, dove andiamo, come vestiamo.

Bottino di guerra ieri, come oggi. Penso alle Troiane, spettatrici silenti di una guerra causata dal gigantesco ego di un uomo che, fondamentalmente, non ha mai saputo accettare un rifiuto; penso alle donne palestinesi, a quelle israeliane. Non è un mito, è la realtà.

Una realtà che siamo stanche di vedere, di sentire. Partirei da Dafne. Pensiamo a questa ninfa, lì a vagabondare tra i boschi, che all’improvviso si sente spiata, violata, perseguitata e che vede solo una via di salvezza: cominciare a correre, perché gli occhi che la scrutano sono voraci e più veloci delle sue gambe, ormai deboli e tremanti per la paura. A voi sembra solo un mito? A me no. Non saprei dire quanti miliardi di volte mi sono sentita così, quante volte uno sguardo è stato più pesante di una mano e quante volte ho pensato che la fuga fosse la soluzione, ma poi: ‘no, la fuga no, altrimenti pensano che tu sia pazza, alla fine, sta solo guardando!’ E così, siamo state tutte Dafne, ma solo più fortunate, perché il nostro aggressore ha deciso di limitarsi a: ‘ehi bambola! Principessa!’ Ma poi, che repertorio!

Vogliamo parlare di Penelope? Ah, che bello sarebbe se tutte fossimo Penelope.

Silenziose, obbedienti, moderate a fare ‘le faccende da donne’. Quante volte lo abbiamo sentito. Da bambina non saprei dire con esattezza quante volte ho desiderato di essere un maschio: c’erano sempre quelle cose che ‘una signorina’ non poteva dire, non poteva fare, perché non si addice.

Cassandra. Quante donne in un anno sono state Cassandra? Ultima proprio Giulia Cecchettin. Cassandra non è mai stata creduta, come lei milioni di donne che hanno denunciato. Basta vedere l’ultimo post della polizia di stato per rabbrividire: una rassegna di testimonianze a cui nessuno ha mai creduto o dato il giusto peso, eppure, Troia brucia ancora.

Infine, Lucrezia: la violenza e la vergogna; vittima di uno stupro e costretta a convivere con i segni di questo per tutta la vita, che poi sarà molto breve per lei, perché si suicida. Tutte le volte che siamo vittime, siamo anche carnefici. Penso allo stupro di Palermo e a tutto ciò che è stato detto sulla vittima: eh, ma lei poteva evitare di andare da sola con un gruppo di ragazzi, ma chi glielo ha fatto fare? Si, ma di notte, da sola! Siamo stanche di doverci continuamente guardare intorno e giustificare, siamo stanche dalla notte dei tempi, solo che adesso vogliamo gridarlo a gran voce.

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