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  • Immagine del redattoreArianna Manto

Lucrezia. Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.


Qualche giorno fa, in tema di violenza sulle donne, mi sono ricordata della triste storia di Lucrezia, nobildonna romana, raccontata da Tito Livio.


Quella di Lucrezia è la storia di una violenza, una delle tante di cui la storia, il mito, la leggenda, greci o romani che siano, ci rendono silenziosi spettatori. Così, ho cominciato a pensare alla innumerevole quantità di abusi di cui si parla nella letteratura classica e anche alla naturalezza con cui i testi riportano tali episodi.

Non è questa la sede più adatta per fare un discorso davvero impegnativo socioculturale su Roma o la Grecia classica, ma il mito, come sempre, costituisce un ottimo punto di partenza per la riflessione. Una riflessione, però, a modo mio.

Lucrezia, come dicevo, è una domina romana, un paradigma, esempio di virtù coniugale, assennata, laboriosa, sommessa, un trofeo di cui vantarsi. Non a caso parlo di “trofeo”, perché nel racconto di Tito Livio (I, 57-58 per chi volesse leggerlo in originale) la violenza perpetrata a Lucrezia nasce dalla spacconeria di suo marito e dalla viltà di un altro uomo che di lei ha abusato. Andiamo con ordine. Se qualcuno di voi riesce ancora ricordare bene i nomi dei sette re di Roma, saprà che il settimo ed ultimo fu Tarquinio il Superbo, il quale aveva un figlio, Sesto Tarquinio, che, evidentemente, aveva ereditato e moltiplicato la superbia paterna. Sappiamo che il signorino era impegnato con l’esercito romano nella presa di Ardea, città non molto lontana da Roma, e che durante un banchetto, tenutosi nell’accampamento per rifocillare il corpo e la mente (e che mente!) dalle fatiche dell’assedio, si trovò a discutere con i suoi compagni della virtù delle loro mogli.

Mi soffermerei già su questo punto, perché non mi pare affatto una novità, tantomeno una sorpresa sentire questo genere di discorsi. Come se si trattasse di un accessorio qualsiasi: oh, il mio è full optional, il tuo?

Già li immagino io, un gruppo di corazzati, tronfi di guerre e conquiste sul campo di battaglia, impegnati in questa chiassosa discussione:

Tizio: ah, si vidissitu me muglieri, chi massaruna!
Caio: e si vidissitu la me, in adorante attesa del mio ritorno, chi fimmina devota!
Qui entra in scena Collatino, marito di Lucrezia: e si vidissitu la me? Bedda ca un ci n’è, sperta ca un ci n’è, saggia, assinnata…
Tizio: consolati Collatì, to muglieri a chist’ura sarà già in buona compagnia, atru chi saggia e assennata.
Collatino: scummittemu ca anchi nel cuore della notte la trovo a cusiri e scusiri comu Penelope? Amunì, vi porto a casa mia per dimostrarvelo.

Insomma, ve la faccio breve, il tempo di una cavalcata e questi baldi giovani sono già a Collatia, città di Collatino.

Al loro arrivo trovano davvero Lucrezia intenta a ricamare nell’atrio di casa insieme alle sue schiave, immaginate quanto fosse fiero e anche un po’ sollevato Collatino, mentre, le mogli degli altri erano state beccate a far festa.

Va da sé, che il premio moglie dell’anno viene assegnato a Lucrezia.

Sesto Tarquinio, invece, rimasto finora nell’ombra, alla vista di Lucrezia si imbizzarrisce; il testo latino dice “un terribile desiderio di possederla prese con forza S. Tarquinio” come se quasi quasi dovesse farci pena e non fosse neanche colpa sua. Che resistenza può opporre un poveretto preso dalla passione? È così, l’uomo è fatto di istinti, di pulsioni.

Quante volte lo abbiamo sentito dire? “Ma è nella natura dell’uomo, l’uomo e cacciatore”, come se fossimo ancora ai tempi di Tarzan. Cacciatore di che? La preda chi sarebbe?

Tornando a Sesto Tarquinio, il ragazzo rientra nell’accampamento con i suoi compagni, pare che i bollori per Lucrezia siano passati e invece, qualche giorno dopo, torna a Collatia dove viene benevolmente accolto da Lucrezia.

A seguito di una lunga e ottima cena, il caro ospite”, bruciando d’amore, dice il testo latino, si recò in camera di Lucrezia e “stricto gladio”, stringendo la spada, e minacciandola di morte, abusò di lei.

Oggi non sto riportando il testo latino solo per fare la maestrina, ma perché voglio farvi notare come una violenza possa essere mascherata, ancora una volta, sotto le sembianze dell’amore. “amore ardens”.

E non mi meraviglia leggerlo in testo scritto tra il I a.C e il I d.C., ma trovo assurdo che nel ventunesimo secolo si parli ancora di delitto d’amore, amore folle. L’amore è un’altra cosa.

Detto questo, cercherò di procedere speditamente nel racconto. Sesto Tarquinio non solo le fa violenza, ma aggiunge al misfatto lo spettro del disonore. “Lucrezia, guarda che se ne non te ne stai zitta e buona, piazzo pure un servo sgozzato accanto al tuo cadavere, così tutti crederanno che sei stata uccisa mentre eri indaffarata a far le tue cose con un servetto”.

Perché non basta la violenza, bisogna aggiungere la vergogna.

Così, il malfattore, soddisfatto, rientra nel suo accampamento. Lucrezia, invece, nonostante la vergogna, manda a chiamare il padre ed il marito per metterli al corrente della sua terribile vicenda.

I due uomini accorrono immediatamente e, di fronte alle lacrime e al dolore di Lucrezia, promettono che la violenza non rimarrà impunita. “unde consilium afuerit culpam abesse”, dove non c’è stata scelta non c’è colpa, dicono.

Lucrezia, però, non riesce a sopportare il dolore, la vergogna, l’umiliazione nel sentire il suo corpo violato, la sua mente abusata, e si uccide piantando un coltello nel cuore.

Questa storia termina così, con una donna coraggiosa che ha denunciato, ma che poi non è stata in grado di convivere con se stessa, portando ogni giorno addosso le testimonianze di uno stupro.

La storia di Lucrezia è quella di molte donne, che denunciano, ma che poi non sono aiutate, seguite, protette. Non basta parlare oggi, il 25 novembre, di violenza sulle donne, e spendere belle parole. Oggi, le violenze vanno impedite, bisogna combattere con le armi che abbiamo: la cultura, l’educazione e l’ascolto.

In questa giornata, allora, penso alle tante donne che hanno denunciato ancor prima che un delitto si compisse, ma che poi sono state lasciate da sole, abbandonate, e alla fine, hanno trovato la peggiore delle sorti per mano di chi ha pensato che fossero un oggetto da possedere. Il mio augurio, allora, è che tutte queste donne non diventino delle moderne Cassandra, portatrici di parole mai davvero ascoltate.

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