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Amore e Psiche II

  • Immagine del redattore: Arianna Manto
    Arianna Manto
  • 22 feb 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Così, giunta la notte, come sempre il marito arrivò e si addormentò tra le sue braccia. Psiche esitava, ma dopo un po’ si decise a portare a compimento il suo intento: accese la lucerna e prese il rasoio, ma non appena la luce rischiarò l’intimità del letto vide l’essere più bello tra i mortali e gli dei: Cupido.


Vide la faretra, le frecce e tutte le armi tipiche del dio dell’Amore, toccò una delle frecce e si punse, bruciando ancora di più d’amore per lui; lanciatasi sul letto per baciare ed abbracciare il marito, un po’ d’olio cadde dalla lucerna e scottò il povero Cupido che si svegliò in collera:

“Oh povera babba! Quantu voti ti lu dissi un dari cuntu a ssi vipere di li to soru? Mi vidisti? E ora pi comu mi vidi mi svidi! Arrivederci! Sono andato contro il volere di mia madre Afrodite per te e tu chi fa? Mi tradisci cussì? Annacatillu tu stu figliu ora![1]

[1] “Oh povera scema! Quante volte ti ho detto di non ascoltare quelle vipere delle tue sorelle? Mi hai visto? E adesso in un baleno non mi vedrai più! Sono andato contro mia madre Afrodite per te e tu che fai? Mi tradisci così? Arrivederci! Crescilo da sola questo figlio!”


Psiche afflitta dal dolore per la perdita del divino marito pianse lacrime amare e tentò anche il suicido, ma lo stesso fiume nel quale si gettò non volle la sua morte e la salvò.

Dopo giorni di peregrinazioni si recò da una delle malvagie sorelle e le inventò una menzogna: disse che aveva scoperto che suo marito era Cupido, ma che quello deluso dal tradimento, avrebbe sposato una delle sue sorelle. Così, la stupida e malvagia sorella si recò sulla rupe, pensando di essere accolta dalle braccia di Cupido, e lo stesso Zefiro con un soffio la spinse oltre la rupe a morte certa. La stessa fine fu riservata all’altra sorella. Intanto, Cupido, ferito e dolorante, si era rifugiato in casa della madre che appresa la notizia si recò subito da lui:

“Oh scimunitu! Na cosa aviatu a fari e un fusti capaci! Io dio dell’amore di qua, io dell’amore di là e a la fine ti isti a cociri di na povera babba mortale! Ora chianci drocu! Chi hanna a diri li genti, talia chi ci finì bedda ad Afrodite, la nora MORTALE, io proprio io. Ingrato di un figlio, ora ci penso io a mettere a posto la situazione!”[2]

[2] “Oh stupido! Dovevi fare solo una cosa e non ne sei stato capace. Ti vanti di essere il dio dell’amore e poi tu stesso ti sei innamorato di una stupida mortale. Ora piangi, ben ti sta! Cosa dirà la gente? Guarda che fine Afrodite! Una nuora mortale, giusto a me doveva capitare!”


L’ira della Dea richiamò l’attenzione delle cugine Cerere e Giunone, che giunte in casa cercarono di placare i suoi bollori:

La cuscina, a nenti c’è! Cosi chi capitano, errori di gioventù, avanti, perdonalu stu figliu. Una un si po fari ne gabbu ne meraviglia di sti cosi! Su, un pocu di pietà pi sta povera figlia, lassala in paci! Ti lu scurdasti quantu ni fascisti tu? Corna, contro corna…”[3]  

[3] “cara cugina, su non farne una tragedia! Sono cose che capitano, errori di gioventù, su, perdona tuo figlio. Ormai non ci si meraviglia più di nulla! Su, un po’ di pietà per questa povera ragazza, lasciala in pace! Hai dimenticato quante ne hai combinate? Corna e quant’altro…”


Figuriamoci se la superba Afrodite si lasciò convincere dalle cugine. Continuò per giorni e giorni a dare la caccia alla povera Psiche, finché non la trovò e la sottopose alle prove più dure, sperando di indurla alla morte. Ma Psiche non si perse d’animo e aiutata anche da tutti gli animali dei boschi, che tifavano per lei, riuscì a portare a termine le prove. Non contenta, Afrodite le sottopose un’ultima prova: Psiche sarebbe dovuta andare a trovare Persofone negli inferi, quella le avrebbe consegnato una scatola da portare ad Afrodite, superato questo ostacolo, la dea dell’amore le avrebbe dato tregua. Anche questa volta la nostra Psiche, ricevute ottime istruzioni da una torre dalla quale stava per buttarsi, si dimostrò all’altezza del compito; scese negli inferi, affrontò il famoso Cerbero, si fece consegnare la scatola e risalì nel regno dei mortali.

Tutto sarebbe andato per il verso giusto, se solo, anche questa volta, Psiche non fosse stata divorata dalla curiosità di sapere cosa ci fosse in quella scatola; in un baleno aprì la scatola e un soffio, lentamente, le spirò la vita dal corpo. Il bel Cupido, guarito dalla ferita, si era messo in cerca della sua amata e quando la scorse abbandonata su un prato, ormai senza più forze, con un tocco della sua freccia la svegliò, rimproverandole sempre quella stupida curiosità che per la seconda volta la stava rovinando. Una volta ricongiunti, Cupido si recò al cospetto del padre degli dei, Zeus, lo pregò affinché mitigasse l’odio della madre e lasciasse i due amanti vivere una vita felice.

Dapprima Zeus esito, perché il bel Cupido con le sue frecce gliene aveva combinate tante, ma poi lasciatosi addolcire dal sentimento che legava i due giovani, chiamò tutti gli dei a raccolta e proclamò l’unione di Cupido con la giovane Psiche, rendendola immortale.

Di fronte al signore dell’Olimpo nemmeno Afrodite poté proferire parola e così a Psiche toccò sta mala soggira.[4]

[4] “cattiva suocera”


Dall’amore dei due giovani, inoltre, nacque una bellissima bambina, chiamata Voluttà che significa piacere, ma anche volontà.

Insomma, come avete potuto notare, la mia capacità di sintesi è stata veramente messa a dura prova da questa storia che da sempre mi ha stregato. Che dirvi? Non un solo insegnamento ho potuto trarre da questa favola, sono tanti gli ammonimenti nascosti tra le righe.

Psiche ci ha insegnato che gli occhi dell’amore riescono a vedere anche nelle tenebre più oscure, ma allo stesso tempo, che la curiosità è un’arma a doppio taglio: è necessaria per la sapienza, ma è deleteria quando è troppa. E senz’altro, le malvage sorellastre ci hanno dimostrato che l’invidia è una brutta bestia e il male fatto, torna sempre indietro, come le frecce di Cupido.

 
 
 

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