Galatea e Polifemo
- Arianna Manto
- 4 apr 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 11 apr 2018
Da quasi una settimana sono tornata in Sicilia, la mia terra, piena di fascino, miti, leggende e tante contraddizioni. Così, dopo averci pensato un po', ho scelto per voi un altro racconto "patriottico". Oggi vi parlo di Polifemo e Galatea, una coppia che scoppia.
Lasciate che ve li presenti e che via dia qualche coordinata geografica.
Galatea era una delle Nereidi, ninfe del mare, figlia di Nereo e Doride, veniva da una piccola famiglia di cinquanta sorelle, roba da poco, e viveva proprio nelle acque della Sicilia.
Polifemo, immagino che la sua fama lo preceda, era un ciclope, rozza creatura gigante con un solo occhio, storico abitante delle pendici dell'Etna.

A proposito di contraddizioni, vi faccio notare la prima: Galatea è una meravigliosa ninfa del mare, Polifemo un mostro deforme privo di ogni raffinatezza; ma anche i duri hanno un cuore e lo stesso ciclope si meravigliò nel provare così profondi sentimenti per una donna.
Alla vista di Galatea nelle acque siciliane, Polifemo rimase folgorato e non ebbe occhi, anzi... occhio, che per lei!
A questo punto, dovrei dirvi che l'amore va ben oltre l'aspetto fisico e che Galatea,magari, avrebbe potuto prendere un caffè con il buon Polifemo, conoscerlo meglio e scoprire che in lui si celava un vero gentleman; ma non è così, de gustibus non disputandum est e chi avrebbe dato torto a Galatea che Polifemo non lo calcolava di striscio? D'altronde, l'occhio vuole la sua parte.
La bella Galatea era innamorata, sì, ma non di Polifemo.
La ninfa ardeva di passione per il bel pastore Aci ed era a sua volta ricambiata.
Ovviamente, avrete già capito che immaginare che tutto sia andato per il verso giusto è davvero impensabile, in Sicilia abbiamo una naturale predisposizione per la tragedia e Polifemo ne è l'esempio, da buon siciliano.
Così il povero Polifemo, trovatosi a concorrere con il bellissimo Aci per il cuore di Galatea, cominciò un po' a raffinarsi:
Oji m'ha raffinari un pocu, ca si Galatea mi vidi cussì strasannatu veru un mi talia. Mi dugnu na pittinata cu stu rasteddu e mi mettu tecchia di profumo, chissu chi producinu li me pecuri: eau de letamè! [1]
[1] Oggi mi devo raffinare un po' perché se Galatea mi vede così malconcio non mi guarda più sul serio. Mi pettino con questo rastrello e mi metto un po' di profumo, quello che producono le mie pecore: eau de letamè!
Polifemo avrebbe potuto vestirsi d'oro, ma Galatea non sentiva ragioni e più lui la amava, più lei lo odiava:
Nun ni possu chiù, fazzu un passu e l'haiu sempri appressu. E ci prova, s'alliscia, si pettina ma a mia mi fa scantari cu dr'occhiu solitario. [2]
[2] Non ne posso più, faccio un passo e me lo ritrovo sempre dietro. E ci prova, si cura e si pettina, ma a a me fa spaventare con quell'occhio solitario.
La verità è che per Polifemo sarebbe stato necessario un intero salone di bellezza al servizio, ma nonostante gli sforzi, non avrebbe potuto celare l'aspetto deforme.
Per non lasciare nulla di intentato, Polifemo cercò anche di allietare la sua bella con il canto:
Galateeeea, Gala Gala tè, Gala-Gala-te, Gala- Gala-Gala tè, haiu crapi e ricotta a tinchitè, ed è solo per te, ed è solo per teee! [3] (Da cantare come il ritornello di Dragostea din tei)
[3] Galateeeea, Gala Gala tè, Gala-Gala-te, Gala- Gala-Gala tè, ho capre e ricotta a volontà ed è solo per te, ed è solo per teee!
Niente, nemmeno il cantò riuscì a commuovere la ninfa, che nel frattempo continuava i suoi incontri intimi con il bel pastore Aci.
Un giorno, per caso, Polifemo si trovò a passare dalla spiaggetta in cui Aci e Galatea erano appartati, gli prese un colpo e dal solo occhio che aveva sembrò uscire lava per la rabbia, come dalla vicina Etna. Aveva cercato in ogni modo di piacerle e lei non ne aveva voluto sentire; nonostante lui fosse di origini divine, perché figlio di Posidone, quella smorfiosa di una ninfa continuava a preferire un pastore.
Aaaaaaah, cu lu pigliù pi li capiddi [4] si direbbe da me.
[4] è un modo per dire che è come se qualcuno lo avesse provocato proprio tirandogli i capelli ed istigandolo all'azione.
Accecato dalla gelosia, sebbene sia ironico per uno che di occhio ne aveva solo uno, con tutta la forza che aveva in corpo, prese un masso e lo lanciò addosso al povero Aci che giaceva sulla spiaggia con Galatea. Per Aci non ci fu scampo, il letale fardello della gelosia lo schiacciò non lasciandogli via di fuga; Galatea riuscì a scappare in fondo al mare, un po' come la sirenetta, sfuggendo così anche all'amore malato del monocolo.
Si narra che il sangue di Aci si trasformò in un torrente che sfocia nel mare e che questo abbia permesso ai due amanti di ricongiungersi negli abissi del mare siciliano.
Dal bel pastore, oggi, traggono il proprio nome vari comuni, tra cui Aci Trezza, Aci Castello e Acireale, per onorare il suo ricordo.
Quando ho cominciato ad interessarmi di miti speravo che tutte le storie finissero con un bel "E vissero tutti felici e contenti...", ma dei miti adoro la prontezza di saper mostrare le più disparate sfaccettature della realtà e, in questo caso, il folle amore di Polifemo ci ha mostrato quanto la gelosia possa essere letale.
Da gelosa Dop, posso solo dirvi di non esagerare. Va bene la gelosia, ma pensateci bene prima di lanciare un masso contro qualcuno o, più semplicemente, prima che il Ciclope che è in voi esca fuori, non vi farebbe onore.
Sempre più brava