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Orfeo ed Euridice

  • Immagine del redattore: Arianna Manto
    Arianna Manto
  • 1 mar 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

Questa nuova storia è ambientata in Tracia, regione della Grecia e terra di Dioniso e Orfeo, il nostro protagonista. Orfeo era un cantore o per meglio dire IL cantore e si dice che con le sue doti riuscisse ad incantare persino i boschi e le montagne. Insomma, era uno di quelli che in quanto a belle parole e frasi smielate sapeva il fatto suo.

La moglie, Euridice, era una ninfa, per capirci, una di quelle che nel cartone animato di Pollon andavano girando mezze nude per i boschi. Così, girando in deshabillè giorno dopo giorno, finisce che qualcuno ti nota e magari si innamora; questo è ciò che capitò ad Euridice: il pastore Aristeo si innamorò di lei e pur di averla continuò a riconcorrerla per i boschi. Corri oggi e corri domani, finisce che una poverina non ci vede più dalla fame, come la tizia della pubblicità della fiesta, e inciampa.

E dove inciampa la nostra bella? O meglio, cosa la fa inciampare? Un serpente che con un solo morso la uccide.

Chi corla, la povera Euridice, e cu l’avia a diri? [1] 

[1] “Che dispiacere, la povera Euridice, chi doveva dirlo?”


Orfeo non riusciva a darsi pace:

“Euridìììììì, Euridice mia! Ma chi morti fu chissa? Arrubbata fusti la muglieri”[2]

[2] “Euridice mia, ma che morte è stata la tua? Ti hanno rubato a me, moglie mia!”


Euridice, però, non poteva più sentirlo, era già discesa nel regno dei morti, avia voglia di gridari Orfeo![3]   

[3] “ne aveva da gridare Orfeo!”


L’unica soluzione era quella di scendere negli Inferi e cercare di convincere il perfido signore dei morti a lasciarla andare. Semplice a dirsi, penserete voi.

In effetti, Ade non era di certo famoso per la sua clemenza, ma bisognava fare un tentativo. Così, Orfeo, attraversata la porta del Tanaro, arriva sulle sponde del fiume Stige e lì incontra Caronte, perfido traghettatore. Chi mai avrebbe potuto convincerlo a lasciar passare un uomo in carne ed ossa e non una flebile anima? Vi ho già detto che il canto di Orfeo non aveva eguali in tutta la Grecia e con le sue dolci melodie riuscì ad intenerire anche il cuore del mortal traghettatore. Sempre con le stesse doti da venditore ambulante di aspirapolveri, Orfeo riuscì a superare tutte le prove che si presentarono, compreso il tête à tête con il guardiano dell’Ade: Cerbero, il cane a tre teste. Una volta scesi mille gradini, finalmente si trovò davanti ai signori indiscussi dell’oltretomba: Ade e Persefone, sua moglie. Presto vi racconterò di come fiorì il loro amore, ma questa è un’altra storia. Io immagino con che gioia lo abbia accolto Ade:

“talia cu c’è, dru lastimusu di Orfeo, sintemu chi voli!”[4] e Persefone a lui: “Matri, e chi si! Pi na vota ca avemu ospiti comu fa,fallu parlari!”[5]

[4] “Ma guarda chi c’è, quel piagnucolone di Orfeo, sentiamo cos’ha da dire!”

[5]“Mamma mia come sei rozzo! Per una volta che abbia un ospite, lascialo parlare!”


Allora, Orfeo, fattosi coraggioso, prese parola e con un talento da incantatore  di serpenti e una dolcezza da scalfire anche un cuore di pietra riuscì a commuovere i sovrani infernali e ad ottenere ciò che tanto desiderava, ma ad una condizione.

“Orfè, io te lo concedo di riportarti via tua moglie, ma mi raccomando, finché non sarete tornati sulla terra, non voltarti a guardarla!”

così gli disse Ade.

In fondo, non sarebbe stato poi così grave, bastava fare la strada a ritroso e voltarsi una volta arrivati a destinazione. Affare fatto. Orfeo per la felicità vide luminoso anche l’oltretomba, in un baleno riprese il suo viaggio verso casa, certo di riabbracciare la moglie. Se solo non avesse fatto un piccolissimo errore; infatti, quasi giunto al termine del suo viaggio di ritorno, Orfeo cominciò a farsi prendere dal panico:

“Ma di cu mi fidavu? Unn’è me muglieri? E si arrivu nintra e nun la trovu? No, no, io controllo!”[6]

[6] “ma di chi mi sono fidato? Dov’è mia moglie? E se dovessi arrivare a casa e non trovarla? No, no, io controllo!”


Taaaac, presto detto e si girò a guardarla. In un attimo, Orfeo vide sparire l’anima di Euridice che secondo me lo avrà maledetto e pensato:

“ma chi avia di taliari? Quando ero viva non notava mai niente, si mi facia un tagliu di capiddi novu, na cosa, mai nenti! E ora di morta m’avia a taliari?”[7]

[7] “Ma che aveva da guardare? Quando ero viva non notava mai niente, s efacevo un nuovo taglio di capelli o qualcos’altro, mai nulla! Adesso da morta doveva guardarmi?”


Immaginate la disperazione di Orfeo. Lui che era riuscito a persuadere il signore degli Inferi, non era stato in grado però di gestire le sue ansie e portare a termine il suo viaggio.

Quando penso a questa vicenda mi vengono in mente tanti episodi della nostra vita quotidiana, magari facciamo tanto, ci impegniamo per ottenere qualcosa e poi giusto alla fine molliamo la presa. Beh, impariamo da Orfeo, mai mollare sul finale. Seguirono giorni e giorni di strazio e lamenti, se era stato difficile accettare la morte di Euridice per la prima volta, lo fu ancora di più per la seconda. Orfeo non poté far altro che cantare le sue disgrazie e da quel giorno cominciò a rifiutare qualsiasi donna gli si presentasse. Si dice, addirittura, che fu proprio Orfeo il primo a praticare l’amore omosessuale, proprio perché decise che non avrebbe toccato mai nessun’altra donna se non la sua Euridice.

Le Baccanti, probabilmente, stanche di sentire le sue litanie o furiose per i suoi continui rifiuti, giunsero alla collina sulla quale si era accampato Orfeo e in un baleno si avventarono su di lui. Non vi ho ancora detto che le Baccanti erano delle donne devote al dio Bacco (quello che in greco chiamiamo Doniso, sempre lui!) e che durante i loro riti, invasate, celebravano i piaceri più proibiti e compivano i delitti più beceri.

Questa volta fu Orfeo il mal capitato. Le Baccanti fecero strage di tutta la flora e la fauna intorno e poi come belve ridussero in brandelli il corpo del cantore, dilaniato oltre che nel cuore, anche nel corpo. I suoi arti furono dispersi per tutta la campagna circostante, una scena da film horror, lo so. C’è un particolare però che stupì: la testa di Orfeo, gettata nel fiume Ebro, fu ritrovata da alcune ninfe che rimasero di stucco notando che la sua bocca continuava a muoversi e a cantare l’immortale amore per Euridice.

Così, Orfeo divenne simbolo dell’immortalità dell’arte e dell’amore. Forse, a rischio di essere un po’ mainstream, quello che ho imparato da Orfeo ed Euridice è che il vero amore attraversa tutti i regni e perdura oltre le distanze, perché le distanze non esistono, sono solo un ostacolo mortale per qualcosa di immortale.

 
 
 

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